Completamente interrate, nascoste alla vista per devozione al paesaggio, oppure esse stesse paesaggio, in dialogo, in contrasto. Enormi, annunciate da fessure del terreno che le fanno sembrare un quadro di Fontana visto da un drone, oppure di poche migliaia di metri quadri. Fatte di materiali antichi, semplici, cotto tradizionale, pietra marmorea, vetro, oppure coperte da un abito di titanio, con anime di acciaio, cemento armato.
Sono le cantine vinicole d’autore in Italia, firmate da studi architettonici di fama mondiale, protagoniste della mostra “Nuove Cantine italiane. Territori e architetture”, a Palazzo Medici Riccardi fino al 19 febbraio. Quarta tappa del progetto itinerante di Casabella, a cura di Roberto Bosi e Francesca Chiorino, in collaborazione con ProViaggiArchitettura, inaugurata in occasione delle Anteprime di Toscana 2023, la settimana nella quale i principali Consorzi vitivinicoli presentano le nuove annate.
Nel capoluogo della regione pioniera dell’enoturismo non poteva mancare questa mostra, ma si è fatto di più: un convegno con gli autori delle quattro cantine (su 10 ritratte in mostra) che si trovano nella regione Toscana.
Tutti i progettisti hanno raccontato il percorso che li ha portati a trovare soluzioni a sfide diverse, ma ciascuna delle loro cantine è oggi esempio di questo grande tema emergente del turismo enogastronomico, cioè rispondere ad esigenze di sostenibilità, di connessione culturale, che va dal cliente, all’operatore turistico, al prodotto vino.
Cosa abbiamo imparato dall’incontro con i progettisti di queste cantine? Che l’evoluzione di scenario dell’enoturismo passa anche dalla nuova concezione di questi edifici, sempre più una certificazione materiale e simbolica dell’apertura al pubblico dell’intero processo produttivo legato al vino. La cantina di oggi e di domani integra i tre elementi fondamentali del turismo enogastronomico: vivere esperienze; fruire della cultura del territorio; condividere queste esperienze. E la forte, inedita, trasversalità demografica dell’enoturista aiuterà chi progetta la cantina e i suoi servizi: sarà generalista, per la famiglia, oppure per i giovani, o per esperti. Ogni cantina, già nel suo concetto, comunicherà a quale cliente si rivolge in questo ambito sempre più complesso.
LA PIÙ BELLA CANTINA DEL MONDO
La cantina Antinori del Chianti Classico, realizzata da Archea associati, si è meritata questo appellativo.
Concepita per avere un basso impatto ambientale e un alto risparmio energetico, è un luogo incredibilmente affascinante, che le fotografie faticano a contenere. Praticamente invisibile dall’esterno, perché totalmente ipogea, se non per due lunghe “fenditure” orizzontali che attraversano la collina, è riconoscibile per la scenografica scala elicoidale che collega i 3 piani della struttura, il più elevato dei quali è coperto dal verde. Coniuga natura, paesaggio e funzioni produttive in migliaia di mq con il nitore di un raggio di luce. Una cantina di 55 mila mq che fa rivivere tutto il processo di vinificazione a gravità, dalla natura al prodotto, con materiali duraturi, semplici. E zero spreco energetico.
Archea Associati | Cantina Antinori nel Chianti Classico
UNA CANTINA CHE SEMBRA LAND-ART
La cantina firmata da Alvisi Kirimoto è quasi l’opposto: una cantina piccolissima, 3000 mq, e un concept nato prima del luogo, identificato per dare vita a questa sorta di “land-art” per volontà di Giovanni Bulgari. Una cantina semi-interrata, in dialogo costante con le colline, un prolungamento naturale della terra circostante, con pareti color Terra di Siena. Accesso unico all’intero processo produttivo, dalla vinificazione all’affinamento dei vini, sala degustazione en plein air, cemento armato, vetro, materiali semplici, che assumono anche colori diversi a seconda del clima, del tempo e della luce. Geotermia e fotovoltaico alimentano l’edificio.
LA CANTINA MONOLITICA NELLA QUALE IMMERGERSI
Cantina Masseto, progettato dagli architetti Hikaru Mori e Maurizio Zito, è un’altra storia completamente diversa, che parte dai limiti della committenza: una cantina davanti al mare, un territorio interno e il panorama di fronte. Obiettivi: conservare la morfologia collinare e realizzare layout produttivo a gravità; creare una connessione tra cantina e casale preesistente, da ristrutturare.
Un altro capolavoro. Il simbolo è quello della cava, nascosta alla vista, che custodisce un materiale prezioso e che si estrae, non si costruisce. Tutta la cantina è in gettato di cemento armato con una tecnica a strati inventata per l’occasione. Come nel caso precedente, la cantina utilizza materiali poveri costruiti con un effetto di qualità assoluta. Da segnalare: la scaffalatura in rete metallica che assume un aspetto singolare. Una cantina “monolitica” “Come l’acqua in un canale, il flusso continuo è al contempo statico e mobile. Le persone che entrano ed escono dalla cantina sono immerse in questo flusso”, ha spiegato l’architetto Hikaru Mori, illustrando questa cantina che porta a livelli inediti per le funzionalità di questi edifici il concetto del passaggio dalla luce al buio.
UNA CANTINA SEMPLICE, PERCIO’ LA PIU’ DIFFICILE
La cantina del Bruciato aveva forse meno pretese, una struttura esterna in mezzo alla tenuta, che fosse efficiente e valorizzasse una etichetta diventata molto presto di culto. L’architetto Fiorenzo Valbonesi ha realizzato 6.500 mq di struttura, con altezze diverse, sul pianterreno, in cemento, con una copertura di zinco-titanio per dissipare il calore, solaio di legno. Leggerissima in alto, robusta in basso, molto semplice nella divisione degli spazi con le sue funzioni. Tutto qui? Per niente. Questa cantina risponde perfettamente ai parametri ambientali e tecnico-costruttivi “necessari per consentire l’adeguata conservazione di un prodotto delicato come il vino” e lo fa interpretando in modo estremamente efficiente sia il ruolo di figura iconica e di opera di rappresentanza, sia quello di accesso al mondo del vino da parte del turista.
Marco Viviani